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LA CLASSE

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un docupuppets per marionette e uomini

Vincitore del bando di residenze interregionali CURA 2018
Finalista ai Teatri del Sacro 2017
Finalista al Premio per le arti sceniche Dante Cappelletti 2018
Debutto in prima nazionale: Romaeuropa Festival ottobre 2018

uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli | CrAnPi
collaborazione alla drammaturgia Marta Meneghetti Giada Parlanti Emanuele Silvestri
collaborazione artistica Lorenzo Letizia Tiziana Tomasulo Lafabbrica
performer Michela Aiello Andrei Balan Antonia D’Amore
Francesco Meloni Marta Meneghetti
scene e marionette Fiammetta Mandich
luci Raffaella Vitiello
suono Hubert Westkemper
fonico Jacopo Ruben Dell’Abate
assistenti alla regia Francesco Meloni Silvia Corona Arianna Cremona
foto di scena Tiziana Tomasulo
consulenza Piergiorgio Solvi
un ringraziamento a Giorgio Testa

produzione e comunicazione Giorgio Andriani/Antonino Pirillo
co-produzione CrAnPi Lafabbrica Teatro Vascello Carrozzerie | n.o.t | con il supporto di Residenza IDRA e Teatro Cantiere Florida/Elsinor nell’ambito del progetto CURA 2018 |
e di Nuovo Cinema Palazzo |e con il sostegno di Periferie Artistiche Centro di Residenza Multidisciplinare della Regione Lazio

Un ringraziamento speciale ai compagni di classe

Dal 1983 al 1988 io e altre trenta anime siamo stati gli alunni di una classe elementare in un istituto gestito da suore e che oggi ospita una casa per ferie. L’Istituto portava il nome di Suore di Carità. La nostra unica maestra, anche lei suora di carità, era Suor Lidia ed è morta più di vent’anni fa. Non è stato mai facile per me raccontare gli anni trascorsi in Istituto e la rigidità dell’educazione alla quale ci sottoponevano. A distanza di trent’anni ho deciso che avrei realizzato uno spettacolo a partire da quei ricordi e mi sono messa alla ricerca dei miei ex compagni, ritenendo indispensabile ricreare quella “comunità” con la quale ho condiviso l’esperienza in questione. Per iniziare a ricomporre i tasselli della “storia” li ho intervistati, ponendo loro domande molto semplici: “Com’era Suor Lidia?”; “Cosa ti ricordi di lei?”; “Ti ricordi cosa accadeva in classe?”; “Sei stato felice quando è morta?”.

Parallelamente al lavoro sulle interviste Fiammetta Mandich ha realizzato dei fantocci/burattini a immagine dei miei compagni, per far interpretare loro gli episodi da noi vissuti tra i sei e i dieci anni di vita.

Da questa prima fase d’elaborazione dei materiali è emerso lo spettacolo: un docupuppets fatto da pupazzi e da uomini, ma anche un rito collettivo in bilico tra La Classe morta di Kantor e I cannibali di Tabori in cui l’adulto rilegge i ricordi di un’infanzia vissuta nella paura di buscarcele, interpretati da pupazzi in mano a un misterioso deus ex machina. Questi ricordi/pezzi di legno, bambini ridotti a marionette, fantocci di gioventù morte, impotenti e manipolati come oggetti, si muovono senza pathos su dei tavolacci che ricordano banchi di scuola, tavoli da macello o tavoli operatori di qualche esperimento che fu. Intorno silenzio. Solo rumori di matite che scrivono e di compagni che respirano. E poi rumori di gessi che si consumano scrivendo dettati alla lavagna. I genitori sono assenti. Non pervenuti. I genitori sono solo disegnati su un cadavere di lavagna ma poi ben presto cancellati. Nel silenzio dei loro passi, questi corpicini di legno si muovono in un Mondo-Suor Lidia che pure Dio abbassa lo sguardo quando la vede. Suor Lidia, unica presenza in carne ed ossa, figura viva di donna o uomo in mezzo a tutti questi oggetti, sfugge alla vista di pupazzi e pubblico. Ne possiamo sentire i passi, vedere le mani, cogliere nel buio qualche tratto, sentire l’odore del suo sigaro magari. Sentiamo che ci fa paura, che in fondo, nel fondo più fondo di ognuno di noi, pubblico pupazzo performer tecnico tavolo o compagno di classe, lei è generatrice di paura.

In questa riflessione sul senso profondo del ricordo, in questa ricerca di pezzi di memorie andate, i miei compagni mi hanno aiutato a trovare una rotta e, infine, a comprendere la natura del lavoro. La Classe ha trovato il suo vero significato nel momento in cui ho rinunciato a quello che volevo raccontare in origine e mi sono messa in ascolto della materia che stavo indagando. A quel punto è emersa una domanda, la domanda intorno alla quale lo stesso spettacolo s’interroga: “che cosa ci facciamo con il dolore?”; “cosa ogni essere umano è in grado di diventare a partire dal  proprio dolore?”

Dal vuoto allora è emerso il ricordo di una scena in cui Suor Lidia mi affida la regia di una piccola scena all’interno della recita per la festa della mamma. E decide, forse, insieme a me la mia vocazione. Dunque La classe è uno spettacolo che voleva parlare di ABUSI DI POTERE ma parla di VOCAZIONI. La mia e la sua. Uno spettacolo in cui tutti hanno ragione: sia quelli che dicono che nessuno guarisce dalla propria infanzia, sia quelli che dicono che tutto dipende da quello che ci facciamo con la nostra infanzia.

 

Fabiana Iacozzilli, regista-drammaturga e direttrice artistica della compagnia Lafabbrica, compagnia che porta avanti un lavoro di ricerca improntato sulla drammaturgia scenica e sulle potenzialità espressive della figura del performer e che, dal 2013, collabora con CrAnPi e il Teatro Vascello di Roma. Tutti gli spettacoli della compagnia sono il risultato di lunghi periodi laboratoriali in cui si predilige un processo di creazione collettiva. Nel 2002 si diploma come regista presso l’Accademia “Centro internazionale La Cometa” dove studia con L. Cecere, V. Benedetti Michelangeli, N. Karpov, N. Zsvereva, A. Woodhouse. Nel 2011 viene selezionata per partecipare al DIRECTOR LAB, progetto internazionale per settanta registi provenienti da tutto il mondo ed organizzato dal LINCOLN CENTER (Metropolitan di New York). Dallo stesso anno diventa membro del LINCOLN CENTER DIRECTORS LAB. Nel maggio 2017 debutta “Da soli non si è  cattivi”,  spettacolo coprodotto dal Teatro Vascello di Roma e al quale ha lavorato per un anno in collaborazione con gli attori della sua compagnia e la drammaturga Tiziana Tomasulo.

 

CrAnPi è un’associazione culturale formata da professionisti del teatro specializzati nella produzione, promozione e comunicazione. Ha come scopo l’ideazione e la realizzazione di progetti culturali in collaborazione con enti pubblici e privati, operanti sul territorio nazionale e internazionale; la promozione della cultura teatrale in tutte le sue forme attraverso la produzione e la distribuzione di spettacoli, l’organizzazione di laboratori, seminari e mostre, l’ideazione di rassegne e festival.

Tra le numerose attività svolte negli ultimi anni si segnalano la gestione del Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma con la direzione artistica di Veronica Cruciani; l’organizzazione e la comunicazione di Sound Visual Landscapes con la direzione artistica di Valentina Valentini, progetto vincitore del bando “Spazio aperto alla cultura” finanziato dal MiBac; l’organizzazione del laboratorio/spettacolo Alzheimer mon amour, a cura di Veronica Cruciani, John Cascone/MK e Riccardo Fazi/Muta Imago, in collaborazione con Teatro di Roma; la produzione degli spettacoli teatrali: Accabadora, dal romanzo di Michela Murgia/drammaturgia Carlotta Corradi, con Anna Della Rosa per la regia di Veronica Cruciani; La Classe di Fabiana Iacozzilli che  ha debuttato nella rassegna Anni Luce di Romaeuropa Festival 2018; Il martedì al Monoprix di Emmanuel Darley con Enzo Curcurù, regia Raffaella Morelli; la promozione, in molti teatri italiani, del libro Nuovo Teatro Made in Italy a cura della Prof.ssa Valentina Valentini/Università Sapienza Roma; la comunicazione e la promozione degli spettacoli delle compagnie di danza contemporanea internazionale: Spellbound Contemporary Ballet (Italia), Roy Assaf (Israele), Compagnie Linga (Svizzera).

 

 

DICONO DI NOI: 

Ne “La classe” messa in scena dalla regista romana c’è anche la necessità di fare i conti con quel passato: Iacozzilli ha pescato a piene mani nella propria biografia di bambina riesumando fatti e persone di trent’anni fa; ha aperto una piccola porta dietro la quale si celava un antro misterioso, quella stanza dell’infanzia e della memoria tanto cara proprio a Kantor. Si è immersa in una terza dimensione, infantile, riemergendo con una storia toccante e sincera, dando vita a uno spettacolo che già alla prima replica è un piccolo capolavoro; passaggio prezioso di una carriera più che decennale, meteora rara nel panorama teatrale nazionale e soprattutto romano per l’uso che fa del teatro di figura.

Andrea Pocosgnich, teatroecritica.net

 

Lo spazio viene agito da attori che manipolano con destrezza un pupazzesco personaggio, potenziale alter ego di Fabiana Iacozzilli, i suoi genitori e i compagni di classe, altri pupazzi. Il fantasma dei ricordi di Fabiana, che ha influito sulla sua inflessibilità in ambito professionale e sulla sua vocazione di regista che non perdona le minime sbavature, si chiama suor Lidia: la maestra di cui le voci off dei compagni di classe ricostruiscono l’immagine orribile, mentre ne rievocano gli approcci sempre al confine opaco  dell’abuso  fisico  e psicologico. Difficile prendere le distanze da questo spettacolo. Ci riporta indietro nel tempo, ai perché delle nostre insicurezze, che spesso sono all’origine di un’infaticabile tenacia. La forma drammaturgica e il disegno luci, che avvolge personaggi e oggetti dentro bagliori di flebile intensità, riproducono l’affastellarsi di ricordi. Una memoria frammentaria, intercalata da rumori, mugugni, e, naturalmente, dal traumatico suono della campanella, grazie al notevole lavoro di Hubert Westkemper sull’ambiente sonoro.

Renata Savo, Hystrio

 

Manovrate a vista da mani sicure e premurose, sono le cinque marionette, create da Fiammetta Mandich, a raccontarci della cattiva Suor Lidia, la maestra violenta realmente esistita nella  scuola  elementare frequentata dalla regista, un vero e proprio incubo per intere generazioni di alunni passati per le sue maniere forti. In questa scatola scenica in cui tutto, ogni spostamento, ogni minimo gesto, ogni respiro trattenuto per lo stupore o per la paura, risuona grazie all’ambiente acustico di Hubert Westkemper e ai microfoni disseminati tra gli oggetti, la Iacozzilli ricostruisce su un doppio binario la trama di ricordi sepolti trent’anni prima. Mentre, infatti, vediamo i pupazzi-bambini soccombere, tremanti, agli insegnamenti maneschi della loro educatrice, le voci registrate dei compagni di classe intervistati dalla stessa artista ci restituiscono a sorpresa, tra rabbia e risate, verità sepolte dall’oblio.

Valentina De Simone, chetempochefa.repubblica.it

 

Suor Lidia era grassa, baffuta e cattiva, ma qualche alunno è perfino disposto a salvarne l’integrità, qualcun altro no, riportando alla mente gli scherni gratuiti e i ceffoni di quella che fu la loro insegnante. In fondo tutti stranamente volevano solo farsi amare da quella maestra così rigida, Iacozzilli inclusa, tanto che al rifiuto di quell’amore non resta che odiarla. Eppure il giudizio rimane sospeso, quel “baffo” di suor Lidia che la Iacozzilli confessa le sia rimasto incastrato nel cuore, dopotutto si riallaccia in qualche modo ai fili delle sue bambole, quelle bambole che fin da ragazzina le parlavano e che ora recitano sulla scena, forse proprio grazie alla manesca e puzzolente suora che un giorno la spinse a scrivere la sua prima recita scolastica. Uno spettacolo unico, emozionante, divertente, curatissimo in ogni dettaglio, soprattutto l’audio di Hubert Westkemper che avvolge magicamente lo spettatore staccandolo dalla realtà esterna e lasciandolo navigare nel sogno vivido della Iacozzilli.

Fabiana Dentinelli, fermataspettacolo.it

 

“La Classe” è uno spettacolo intriso di verità: così come sceglie di non celare l’impianto registico e i performer sono liberi di manovrare i pupazzi senza nascondersi al pubblico e di muoversi a scena aperta per allestire lo spazio e sistemare gli oggetti, così è anche la regista stessa a non esitare a raccontarsi nella sua verità. Prova ad aprire quel famoso cassetto e per farlo si mette in gioco totalmente. Ricostruendo il passato, facendoci i conti. Raccontando esplicitamente di sé, sia tramite il pupazzo/se stessa bambina, sia attraverso parole forti e toccanti fuori campo. Infine mettendosi in gioco anche fisicamente: all’improvviso, durante lo spettacolo, dal buio irrompe decisa sul palco per intervenire sulla  scena  e  per  vestire  con  cappelli  e  sciarpe  i  suoi bambini. Accudisce le sue creature, le protegge – si protegge – dall’inverno. E’ la simbolica rinascita, una risposta al dolore, il punto d’arrivo di un percorso nel profondo di sé. E’ il teatro che la salva, quello stesso teatro trovato grazie a un consiglio inaspettato della temuta suor Lidia quando negli anni della scuola la spinse alla prima regia: il proprio personale segreto da cercare e seguire per diventare se stessi.

Michela Staderini, saltinaria.it

 

In questa iperproduzione macchinica che l’infanzia della regista sembra rigurgitare sul palco, le suggestive scenografie cambiano continuamente le prospettive e gli equilibri dei piccoli protagonisti. Un gioco fatto di dimensioni precise immerse in un’instabilità costante, uno spazio dai suoni alterati che disarticolano vorticosamente le proporzioni come fa la memoria stessa, come continua a fare su ognuno di noi l’impronta della nostra età più lontana.

Federico Betta, altroquotidiano.it

 

Pur essendo d’ispirazione autobiografica, La Classe diventa d’interesse collettivo perché racconta della necessità di prendersi cura di ciò che siamo stati e di come sia possibile un riscatto nel presente. Come quando la regista stessa entra in scena per proteggere i pupazzi dal freddo: quel gesto catartico e di premura che nessuno aveva avuto nel passato vale più di tutto il dolore attraversato ed è reso possibile solo grazie al teatro. La Classe, dunque, parla dell’importanza di custodire il ricordo del passato nel bene e nel male, quel male che, suo malgrado, modella la personalità proprio come il bene. In fondo il primo spettacolo di Iacozzilli ebbe luogo proprio grazie a suor Lidia, che un giorno chiese alla futura regista la domanda cui ogni artista dovrebbe rispondere: «Fabiana, tu ce l’hai un segreto?»

Sarah Curati, paperstreet

 

Bello, costruito meravigliosamente, con tecnica e professionalità, pittorico. Un felicissimo intrattenimento trasversale, che secondo canoni dimenticati da noi grandi, potrebbe addirittura affascinare i piccoli, casomai suggerendo loro di ribellarsi, qualora la situazione sul palco richiami in qualche modo quella che potrebbero vivere e subire loro.

Luigi Scardigli, megliomeno